Perché Facebook e Google fanno la “guerra” alle criptovalute? I risvolti sul Bitcoin (crollato a 8mila)
Il 2018 non è iniziato proprio nel segno delle criptovalute. Dopo aver toccato il massimo storico il 7 gennaio a quota 813 miliardi di dollari, la capitalizzazione…
Perché Facebook e Google fanno la “guerra” alle criptovalute?
Il 2018 non è iniziato proprio nel segno delle criptovalute.
Dopo aver toccato il massimo storico il 7 gennaio a quota 813 miliardi di dollari, la capitalizzazione del settore è salita sulle montagne russe: tra alti e bassi (più bassi che alti) il valore delle monete digitali è sceso oggi a 320 miliardi. In due mesi sono “andati in fumo” quasi 500 miliardi.
A questa notizia finanziaria se n’è aggiunta un’altra di carattere economico.
Il re dei social media, Facebook, ha deciso di vietare le inserzioni sulle criptovalute (sia quelle in circolazione sia quelle future che si presentano sul mercato attraverso il processo di Ico, Initial coin offering, che emula l’Ipo (Initial public offering) delle società che si quotano in Borsa). Dopo il primo social network anche il primo motore di ricerca (Google) ha preso la stessa direzione.
Poche ore fa ha reso noto l’aggiornamento del report “bad ads”, nel quale vengono bannate le criptovalute. Il provvedimento sarà operativo da giugno ma nei fatti si è già fatto sentire sulle quotazioni del settore che hanno subito nelle ultime 24 ore un calo medio del 10%.
L’ANDAMENTO DEL BITCOIN.
Il ribasso ha colpito, chi più chi meno, in modo indiscriminato tutto l’universo delle criptomonete che ad oggi – stando alle statistiche aggiornate dai Coinmarketcap.com – comprende 1.565 esemplari (di cui alcuni di dubbia credibilità a iniziare dai nomi). Le vendite hanno penalizzato anche il Bitcoin che è sceso a livello intraday sotto gli 8mila dollari per poi recuperare leggermente.
Va detto che in questo saliscendi la gerarchia però resta immutata: il Bitcoin è di gran lunga la criptovaluta più scambiata e capitalizzata. Nonostante il -60% archiviato dai massimi di metà dicembre (quando un Bitcoin ha sfiorato quota 20mila dollari mentre oggi oscilla intorno agli 8mila) il Bitcoin ha addirittura rinforzato la sua “dominance” nel settore. A inizio anno valeva il 32% dell’intero comparto, oggi è salito al 42%.
Resta da capire come mai Facebook e Google hanno preso questa decisione e che risvolti potrà avere in futuro sul Bitcoin e le altcoin (le criptovalute alternative).
Lo abbiamo chiesto a Ferdinando Ametrano, professore di Bitcoin e tecnologia blockchain presso Milano-Bicocca e Politecnico di Milano.
«Del mercato apprezzo sempre il contenuto informativo che rivela: se Google e Facebook rinunciano a profitti è perché ritengono la pubblicità di criptovalute ed Ico fraudolenta. Lo credo anche io: si tratta di quel far west della corsa all’oro digitale affollato da furfanti e fenomeni da baraccone. L’oro digitale, Bitcoin, quello non ha bisogno di pubblicità: il suo riconoscimento è sostanziale e culturale, non ha bisogno di imbonitori».
Se Google e Facebook hanno preso questa decisione per evitare di dare spazio ad operazioni fraudolente, come mai il ribasso delle quotazioni ha colpito anche il Bitcoin e le altre criptovalute a più alto valore?
«La volatilità è intrinseca al processo di scoperta del valore che avviene nel mercato – prosegue Ametrano -. Quando si tratta di mettere a fuoco il valore potenzialmente dirompente dell’equivalente digitale dell’oro, il processo non può che essere complesso, confuso, controverso, insomma volatile».
Quale è il suo parere sulle prime 10 cripto per market cap? Fuffa o potranno convivere in futuro col Bitcoin?
«Le alternative a Bitcoin sono per ora velleitarie e senza reali meriti funzionali. Ethereum, Monero, Litecoin, Ripple, Zcash possono avere una marginale, spesso sopravvalutata e fraintesa, utilità. Ma il resto è davvero ciarpame».
Il noto economista Rogoff vede il Bitcon a 100 dollari. Gli analisti di Saxo bank a 100mila. Dove andrà davvero e come è possibile arrivare a un fair value?
«Se Bitcoin è oro digitale, sottolineando la parola “se” perché ci possono essere ancora legittimi dubbi, allora è ampiamente sottovalutato. Facciamo qualche valutazione grossolana. A livello globale i patrimoni gestiti sono circa 100 trilioni di dollari: quando il 2% investisse in Bitcoin, anche solo a scopo di diversificazione, questo implicherebbe un prezzo per Bitcoin di 100mila dollari. La capitalizzazione dell’oro fisico è di 8 trilioni: per raggiungere un livello comparabile Bitcoin dovrebbe arrivare a 400mila dollari.
La legge di Metcalfe dice che il valore di un network è proporzionale al quadrato del numero dei suoi utenti: oggi si stimano 50 milioni di investitori Bitcoin, se proiettiamo a 350 milioni di investitori la capitalizzazione di Bitcoin dovrebbe crescere di 50 volte. Se non riuscirà ad essere oro digitale il suo valore si azzererà. Meglio investire solo quanto si può perdere senza eccessivo rammarico».
Quali ostacoli potranno impedire al Bitcoin di diventare oro digitale?
«Non vedo ostacoli sostanziali. Sarà un percorso controverso e vedremo tentativi di delegittimazione e criminalizzazione. Ma la scarsità digitale è una rivoluzione inarrestabile: sarà difficile rimettere il genio nella bottiglia».
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